“Andiamo a Roma?” – [cit.]
Il Comune di Roma utilizza il toponimo Torre Angela per indicare una zona toponomastica, una zona urbanistica, una tenuta dell’Agro Romano e una frazione di Roma. Chi ci abita utilizza lo stesso toponimo per segnalare una borgata che si estende tra due strade consolari, la via Prenestina e la via Casilina, nel quadrante orientale della città, appena fuori il Grande Raccordo Anulare. Si tratta di una borgata abusiva edificata sui terreni di quella campagna romana che, nel corso del Novecento, ha perso progressivamente la sua connotazione rurale per fronteggiare l’aumento rapido e progrediente della popolazione urbana. Franco Ferrarotti, definisce le borgate spontanee come “aggregati di costruzioni abusive sorte all’estrema periferia della città o nell’Agro Romano su terreni abusivamente lottizzati, cioè lottizzati al di fuori del piano regolatore”.
A Torre Angela la lottizzazione delle tenute agricole è stata intrapresa negli anni Venti del Novecento, ma ha subito una brusca accelerazione nel Secondo dopoguerra. I prezzi dei lotti variavano in base alle dimensioni e alla posizione: costavano meno quelli distanti dalle strade consolari. Un abitante degli Arcacci racconta che “i lotti di terra venduti qui dalla famiglia Vaselli sono più grandi e gli spazi sono maggiori rispetto al resto di Torre Angela. I primi anni che sono venuto qui c’erano tanti bambini che giocavano per strada, mentre nelle altre zone la lottizzazione è ridotta e non ci sono molti spazi. E anche la vita, là dove gli spazi sono minori, è più difficile”.
Un altro abitante del quartiere afferma: “io sono abruzzese, sono arrivato a Roma nel 1956, per lavoro. Inizialmente vivevo con mia moglie e mio figlio da mia sorella, poi ho comprato il lotto di terra in questa strada nel 1958, dalla famiglia Sbardella. Mi hanno fatto vedere su un pezzo di carta i diversi lotti, alcuni più grandi e altri più piccoli, che avevano diversi prezzi. Io ho scelto un lotto di 400 m² e ho pagato a rate, ogni settimana portavo i soldi che avevo guadagnato alla fattoria”.
L’edificio doveva essere costruito velocemente, nel fine settimana, e senza pretese. Ogni componente della famiglia partecipava al lavoro con le proprie competenze: madri, figli, cugini, zii, parenti. Queste persone non hanno acquistato semplicemente un lotto di terra, hanno plasmato il territorio secondo le loro necessità. Durante quest’atto di appropriazione hanno pensato a soddisfare un bisogno primario e individuale: la casa; soltanto in un secondo momento c’è stata la richiesta unanime di servizi. Prima la casa e poi le strade, prima la casa e poi le fogne, prima la casa e poi l’acqua, prima la casa e poi, forse, una piazza.
Nel corso degli anni Sessanta, al lavoratore che costruiva, con enormi sacrifici, una modesta casa per sé e per la propria famiglia, si affiancò l’artigiano, il commerciante, il piccolo imprenditore che, grazie a una minima capacità di risparmio, riusciva a costruire, oltre alla propria casa, anche un limitato numero di appartamenti per affittarli e costruirsi così una piccola rendita. A Torre Angela, così come in altre borgate romane, “l’abusivismo di necessità” si tramutò in “abusivismo di convenienza e/o di piccola speculazione in cui ha spazio l’intermediazione fondiaria e immobiliare”. Le imprese costruttrici si “insediarono” in borgata e sfruttarono la manodopera locale per realizzare palazzine a più piani che si mescolarono alle case “dell’autocostruzione elementare” e familiare.
In questo melting-pot architettonico, i resti materiali e immateriali della campagna si alternano agli artefatti urbani, più contemporanei, solitamente squadrati, colorati e verticali. Questa mescolanza di prati, animali al pascolo, acquedotti, casali storici, palazzine a tre piani, case a schiera, giardini privati contribuisce alla formazione di quel paesaggio “ibrido” che non può essere considerato completamente urbano né rurale. I nuclei abusivi restano luoghi irrisolti, di confine, incapaci di una sintesi convincente tra città e campagna, connotati soltanto della ripetizione all’infinito di uno stesso frazionamento reticolare e di uno stesso tipo edilizio.
Giulia Oddi