A partire dal Secondo Dopoguerra la popolazione di Roma crebbe molto velocemente: in soli venti anni aumentò infatti del 69%, passando da un milione 651 mila abitanti del 1951 a due milioni 781 mila nel 1971. La città è oggetto in questi anni di flussi migratori interni che non coinvolgono solo gli abitanti di altre aree del Lazio, ma anche quelli provenienti dal Sud Italia. Il rapido aumento della popolazione favorì l’acuirsi di un problema che Roma si era già trovata periodicamente ad affrontare: quello della disponibilità delle case. Gli alloggi erano infatti scarsi e inadeguati, specie per le fasce sociali a più basso reddito. Nonostante il miracolo economico, decine di migliaia di romani, di nuova e di vecchia generazione, vivevano in abitazioni improprie come grotte, accampamenti di fortuna e soprattutto baracche. Numerosi borghetti (vere e proprie baraccopoli) crebbero a ridosso dei quartieri urbani, lungo le strade e le ferrovie, o intorno alle borgate ufficiali costruite durante il ventennio fascista ai margini della città, diverse delle quali versavano in pessime condizioni edilizie ed igienico-sanitarie. Tra i più grandi, il Borghetto Prenestino, nei pressi della omonima borgata e non lontano da Gordiani, e quello sorto lungo gli archi dell’ Acquedotto Felice.
La risposta delle istituzioni all’emergenza crescente si dimostrò inadeguata, generando un diffuso malcontento e alimentando una serie di rivendicazioni relative al diritto all’abitare.
Inizialmente furono i partiti di sinistra – Psi e soprattutto Pci – ad egemonizzare le lotte per la casa. Nell’immediato dopoguerra furono create le Consulte popolari, che portarono ad alcune prime e importanti vittorie, come l’abolizione nel 1961 della legislazione fascista contro l’urbanesimo (leggi n. 358/1931 e 1092/1939) che regolava i flussi migratori interni negando il diritto di residenza a molti immigrati. La strategia del Pci e delle organizzazioni a esso legate era quella di mobilitare le persone in chiave dimostrativa, attraverso manifestazioni e occupazioni simboliche, per agevolare con una spinta dal basso le rivendicazioni e le proposte riformatrici che venivano portate avanti nelle sedi istituzionali. Gli sforzi del partito si rivolsero anche alla tutela degli inquilini delle case popolari: nei primi anni settanta, dalla confluenza di una serie di associazioni e comitati operanti nel settore nacque il Sindacato Nazionale Unitario Inquilini e Assegnatari, il Sunia.
Nel nuovo clima politico e sociale seguito al 1968, tuttavia, i metodi del Pci, considerati verticistici, cominciarono a essere messi in discussione da percorsi di lotta per la casa ispirati a un maggiore protagonismo dei soggetti sociali e alla valorizzazione dell’azione diretta. L’accesa concorrenza che si aprì a sinistra su questo terreno avrebbe indotto il partito ad abbandonare la pratica dell’occupazione degli immobili, considerata generatrice di tensioni sociali e problemi di ordine pubblico non controllabili. A partire dal 1969, prima con la nascita del CAB (Comitato di Agitazione Borgate) e poi con l’intervento di organizzazioni della sinistra detta extraparlamentare come Lotta Continua e Potere Operaio, si cominciò a praticare l’autoriduzione dei fitti e delle bollette anche nelle abitazioni di proprietà di società immobiliari private. Anche e soprattutto queste ultime furono oggetto di occupazioni autonome, non più effettuate a scopo dimostrativo, ma con l’obiettivo di stabilizzare le occupazioni stesse, colpendo direttamente gli interessi speculativi.
Come si vedrà nel percorso, molti quartieri – tra cui San Basilio, Tufello, Magliana e Primavalle – furono teatro di significative lotte per la casa. All’interno delle occupazioni che nascono in questo periodo è fondamentale l’organizzazione: per gestire al meglio i processi decisionali che coinvolgono tutti gli inquilini e per difendere le abitazioni dagli sgomberi ci si organizza su diversi livelli in gruppi di scala e comitati di palazzo. La lotta per la casa ottenne importanti successi: piani di emergenza comunali, acquisizione di immobili da cedere ai baraccati ed eliminazione dei borghetti; anche se le soluzioni individuate, come pure i criteri di assegnazione degli alloggi, finirono per creare nuove emergenze (ad esempio a Ostia), nonché nuove divisioni tra Pci e gruppi di estrema sinistra.
Per la realizzazione del percorso è stato utilizzato il fondo Memoria di Carta, consultabile presso l’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza.
Elena Sasso D’Elia