Il percorso ricostruisce la dimensione produttiva di Roma dal 1870 a oggi, con particolare attenzione al tema del rapporto tra imprese e territorio. Una selezione di oggetti digitali riproduce alcuni dei più importanti insediamenti produttivi della città: le immagini non ritraggono solo stabilimenti industriali o centri direzionali, ma anche memorie e testimonianze delle attività svolte dalle imprese selezionate. Una particolare attenzione è stata riservata al quadrante sud-orientale, dove nel secondo dopoguerra si è sviluppata la cosiddetta “seconda zona industriale”. La storia dell’economia romana è infatti caratterizzata dall’alternarsi di due modelli di insediamento: da un lato i tentativi di pianificare la dislocazione delle attività produttive, concentrandole in aree delimitate, dall’altro l’opposta tendenza alla distribuzione spontanea su tutto il territorio cittadino.
Tale alternanza ha caratterizzato soprattutto il settore industriale: nonostante la prevalente connotazione terziaria dell’economia cittadina, l’industria ha ugualmente conosciuto fasi di sviluppo, in conseguenza di singole iniziative imprenditoriali, ma anche per effetto di politiche locali e nazionali.
La proclamazione di Roma a capitale del Regno d’Italia non fu seguita dall’adozione di una strategia per lo sviluppo produttivo della città. Il dibattito politico si concentrò sul tema dell’accentramento amministrativo, relegando in secondo piano le questioni economiche. I principali gruppi finanziari del Paese furono poco propensi a investire nell’industrializzazione di Roma, la cui vocazione economica si orientò soprattutto al mercato immobiliare e alla produzione di servizi legati al ruolo di capitale amministrativa e politica.
L’industria edilizia è stata per lungo tempo il settore trainante dell’economia romana, per la sua capacità di attrarre ingenti capitali e di condizionare l’espansione urbana fin dagli anni successivi all’acquisizione dello status di capitale. Lo sviluppo urbano incentivò l’affermazione delle imprese erogatrici di servizi tecnici “a rete”, come la Società Anglo-Romana del Gas (SAR) e di imprese del settore alimentare come la Centrale del latte in via Gioitti, la Società molini Pantanella al Circo Massimo e la birra Peroni in piazza Alessandria. Parallelamente si svilupparono anche alcune imprese attive nei settori della meccanica e della metallurgia sulla via Flaminia e sulla via Prenestina.
Accanto a tali iniziative spontanee furono varati i primi provvedimenti di delimitazione delle aree industriali. I piani regolatori del 1873 e del 1883 individuarono l’area di Testaccio come la più adatta per le attività manifatturiere, data la prossimità al fiume e la vicinanza alla linea ferroviaria. Nel 1890 vi fu costruito il Mattatoio e iniziarono a svilupparsi le attività connesse con la lavorazione della carne.
All’inizio del XX secolo, la crescita economica dell’età giolittiana favorì l’ideazione di ambiziosi progetti. Nel 1904 Paolo Orlando, erede di una storica famiglia di imprenditori (proprietaria dei Cantieri navali Fratelli Orlando), fondò il Comitato Pro Roma Marittima con l’obiettivo di promuovere la creazione di una vasta zona industriale tra Roma e il mare. L’attuazione del progetto procedette a rilento, per via dei costi elevati e degli ostacoli politici e burocratici, ma l’attività promozionale di Orlando attirò importanti investimenti nella zona di San Paolo. La destinazione produttiva dell’area fu confermata dal piano regolatore del 1909, che ne dispose il potenziamento e la razionalizzazione, sancendo la nascita ufficiale della “prima zona industriale” di Roma.
Negli anni Trenta prevalse nuovamente la tendenza al decentramento produttivo. I due maggiori stabilimenti pubblici costruiti a Roma in quegli anni, il nuovo Poligrafico dello Stato e il complesso di Cinecittà, si insediarono rispettivamente nel quartiere Pinciano e sulla via Tuscolana.
Rimase tuttavia aperta la questione della creazione di un nuovo polo produttivo. Nel 1941 fu quindi istituita la “seconda zona industriale”, localizzata nei comprensori di Tor Cervara, Tor Sapienza e Grotte Celoni, in una vasta area compresa tra le vie Tiburtina, Prenestina e Casilina. Nel quadrante sud-orientale erano già sorti autonomamente diversi stabilimenti industriali come la nuova sede del pastificio Pantanella fuori Porta Maggiore, il complesso della Società Generale Italiana Viscosa (poi Cisa-Viscosa e Snia-Viscosa,) e la Società Anonima Chimica dell’Aniene (poi Solvay) sulla via Prenestina, le officine della Breda e l’Istituto Nazionale Medico Farmacologico Serono sulla via Casilina e la Società Anonima Fiorentini sulla via Tiburtina. Nel dopoguerra la seconda zona industriale conobbe la sua fase di maggiore sviluppo in seguito all’insediamento di numerosi stabilimenti, tra cui la nuova sede della Birra Peroni e lo stabilimento Voxson a Tor Sapienza.
Nel 1955 le agevolazioni previste dalla Cassa del Mezzogiorno furono estese fino all’area di Castel Romano, costituendo un nuovo fattore di attrazione per le imprese che iniziarono ad impiantarvi i propri stabilimenti. Si sviluppò una nuova concentrazione produttiva fuori dall’area urbana lungo la via Pontina. Tuttavia, la tendenza al decentramento non si esaurì e importanti stabilimenti, come ad esempio quello della Fiat-Magliana, continuarono a insediarsi al di fuori delle aree industriali.
Negli anni Sessanta-Settanta il sistema produttivo romano vide inoltre l’insediamento di grandi aziende ad alta tecnologia, soprattutto nei settori dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’informatica, con i nuovi stabilimenti della Selenia, della Fatme (poi Ericsson) e dell’Ibm.
All’inizio del XXI secolo, dopo un prolungato processo di deindustrializzazione, si è posta con particolare rilievo la questione del riutilizzo degli insediamenti produttivi dismessi e della conservazione del patrimonio archeologico-industriale. Non sono mancati tentativi di rilanciare il settore industriale e in particolare di rendere attrattivo il territorio per imprese attive nei settori ad alta innovazione, sebbene con risultati al di sotto delle aspettative. In particolare l’obiettivo assegnato al Tecnopolo Tiburtino di costituire una sorta di Silicon Valley romana, la cosiddetta “Tiburtina Valley”, appare ancora lontano dal realizzarsi compiutamente.
Questo percorso è stato realizzato grazie ai materiali documentari custoditi da Archivio Storico Capitolino (Fondo fotografico); Museo di Roma; Fondazione ISEC – Archivio Breda (fondo fotografico); Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione; il fondo fotografico dell’Archivio Storico ATAC; l’archivio Storico Intesa Sanpaolo (patrimonio documentale IMI).
Serena Casu, Daniela Felisini, Fernando Salsano